Artemisia Gentileschi. Pittrice Guerriera
- carlottaceccarini9
- 26 giu 2022
- Tempo di lettura: 4 min
“L’unica donna in Italia che abbia mai saputo che cosa sia pittura, e colore, e impasto, e simili essenzialità” (Roberto Longhi)

Documentario del 2020 diretto da Jordan River, presentato alla sesta edizione del Festival internazionale del documentario Visioni dal Mondo e vincitore del XXIV Terra di Siena International Film Festival 2020. Uscito in Italia nel giugno del 2021, ora disponibile su Prime Video, il documentario, tra gli altri riconoscimenti italiani e stranieri, è stato in concorso ai David di Donatello 2021 con una menzione speciale per Angela Curri nel ruolo di Artemisia.
Figlia del pittore Orazio Gentileschi, Artemisia nasce nel 1593, nella Roma di Guido Reni, “un centro artistico unico in Europa saturo di arte e cultura”. La madre della pittrice muore quando lei aveva solo dodici anni, perdita che inevitabilmente la lega profondamente al padre, il cui studio di pittura frequenterà assiduamente, dove coltiverà il suo amore per i colori. Artemisia apprende l’arte del disegno tra le mura domestiche, non potendo accedere, da donna, a un percorso accademico. Grande amante di Caravaggio, fa presto suoi “la finezza del tratto, il gusto per il colore, i giochi di ombra e di luce, nonché l’utilizzo di modelli reali trasfigurati in una drammaticità potente e più che mai realistica”. Seguendo l’influenza realistica di stampo caravaggesco Artemisia nei suoi primi anni romani dipinge opere come la Madonna con il bambino, Santa Cecilia e Susanna e i vecchioni.
La vita di Artemisia venne sconvolta dalla violenza subita da Agostino Tassi, suo maestro di prospettiva e frequentatore dello studio-casa dei gentileschi. Nel 1612 ebbe avvio il processo in Tribunale che si ripercosse interamente sulla donna costretta a subire violenze pubbliche dagli inquisitori per dimostrare la sua verginità antecedente lo stupro. La pittura di Artemisia diventa ancora più drammatica, ma forte e determinata come la pittrice stessa.
Orazio, per recuperare la dignità della figlia, la concede in sposa, con nozze riparatrici, a Pierantonio Stiattesi, pittore toscano, per il quale Artemisia si trasferirà a Firenze, dove sarà la prima donna ad entrare nell’Accademia delle arti e del disegno, iniziando ad ottenere commissioni da importanti famiglie come i Medici. La Gentileschi entra così nel circolo degli intellettuali fiorentini, stringendo una profonda amicizia con Galileo Galilei e Michelangelo Buonarroti il Giovane. Il periodo toscano è tra quelli più fiorenti per l’arte di Artemisia, sono questi gli anni dell’Allegoria dell’inclinazione e di Giuditta che decapita Oloferne.
Dagli anni ’20 del 1600 inizia per l’artista romana un peregrinare italiano: ritornerà prima nella sua terra natia dove darà alla luce Giuditta con la sua ancella. Andrà poi a Genova, allontanandosi definitivamente dal marito, per poi approdare nella laguna veneta dove dipinge Ester e Assuero, in sintonia con i pittori veneziani che avevano care le composizioni sceniche. Terminerà i suoi giorni a Napoli, dove si spegnerà nel 1653, non prima di aver creato capolavori quali Clio, la musa della Storia e Aurora, l’Adorazione dei Magi e Corisca e il satiro, la Nascita di San Giovanni Battista, la Madonna e il Bambino con rosario. Artemisia conferma così il suo talento, la capacità di sapersi confrontare con le tendenze artistiche dell’epoca così come con soggetti nuovi da quelli di solito ritratti.
Durante il periodo napoletano, all’apice della sua carriera artistica e del riconoscimento come pittrice, Artemisia, visse una parentesi londinese, si trasferì dal padre nella capitale anglosassone. In questi anni produsse Autoritratto come allegoria della pittura e Davide che ha decapitato la testa del gigante Golia. Morto Orazio Gentileschi, Artemisia fu poi costretta ad abbondare definitivamente l’Inghilterra allo scoppiare della guerra civile, per ritornare nella metropoli partenopea.
Oltraggiata appena giovinetta, nell’onore e nell’amore. Vittima svillaneggiata di un pubblico processo di stupro. Che tenne scuola di pittura a Napoli. Che s’azzardò, verso il 1638, nella eretica Inghilterra. Una delle prime donne che sostennero colle parole e colle opere il diritto al lavoro congeniale e a una parità di spirito tra i due sessi (Anna Banti, Artemisia, Sansoni, 1947)
Una vita che come un dipinto è fatta di luci e ombre, chiaro e scuro, un’esistenza romanzesca dai toni drammatici, ma che certamente ha il merito di averla resa celebre, più delle sue stesse opere. Una femminista ante litteram che arriva a ribadire di voler essere riconosciuta al pari di un uomo. Un’eroina che lotta per la propria dignità e indipendenza, una guerra all’interno di un ambiente sociale e artistico ostile in cui “lei rappresentava un’eccezione assoluta”. Artemisia è originale non solo per lo stile di vita, ma anche per la sua pittura: affronta la pittura dei grandi soggetti sacri e storici con un impianto monumentale e in perfetto stile caravaggesco dipinge forme e colori che abbandonano i moduli iconografici convenzionali.
“Oggi come allora non può non colpire quell’intrecciarsi evidente della storia di una donna con la passione di un’artista. Artemisia, pittrice straordinaria, che sicuramente tocca il cuore e l’anima di chi contempla le sue opere”.
Oggi basta fare il nome di Artemisia Gentileschi per evocare una pittura drammatica, popolata di energiche figure femminili rappresentate in modo diretto e intransigente, e che si rapporta e si integra con gli eventi della vita dell’artista (Judith Walker Mann)
Il documentario si chiude con un omaggio “a tutte le donne che reagendo all’oscurità del mondo con il loro coraggio spazzano via le tenebre e profondono la propria luce sulle tele dell’esistenza”.
Photos by Wikipedia.org
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